Con i suoi 192.565 ettari, il Parco
Nazionale del Pollino è la più grande area protetta d'Italia
tra la Calabria e la Basilicata, capace di offrire i paesaggi
più svariati. Grandi aree wilderness dove il pino loricato -
vero emblema del Parco- si abbarbica alle pareti di roccia
mentre il vento ne modella la forma contorta, accanto ai
paesaggi dolci delle valli, dei declivi lussureggianti di
fiori a primavera, dei pianori estesi dove ancora si pratica
la pastorizia antica.
A est e a ovest l'orizzonte incontra il mare, raggiungibile in
breve tempo pur se da grandi altezze. Alla solitudine delle
cime più alte, dominate dal volo maestoso dell'aquila reale,
fa da contrappunto la realtà diffusa del paesaggio antropico:
piccolissimi paesi dove ancora le donne anziane indossano il
costume tradizionale, accanto a centri abitati più grandi,
punti di riferimento per importanti iniziative culturali di
richiamo. In questo territorio resistono tenacemente nuclei di
cultura, lingua e tradizione arbëreshe (italo-albanese),
accanto ai segni archeologici delle dominazioni che vi si sono
succedute nel corso dei secoli.
Visitare il Parco Nazionale del Pollino diventa così
un'esperienza che mette insieme più ragioni: trovare una
natura insolita e per molti aspetti ancora selvaggia,
confrontarsi con la cultura, gli usi, il folklore delle genti
meridionali, conoscere un'area protetta tesa a valorizzare le
proprie risorse e capace di offrire al visitatore innumerevoli
possibilità per godere di una vacanza all'insegna della
bellezza paesaggistica, del gusto della scoperta, del piacere
del tempo ritrovato.
La programmazione ambientale del Parco è indirizzata
prioritariamente alla salvaguardia delle risorse
naturalistiche che sono numerose, preziose e talvolta rare: il
capriolo autoctono di Orsomarso, il lupo appenninico, l'aquila
reale, il pino loricato. Lo sviluppo basato sulla
conservazione mette in atto specifiche azioni per proteggere
la diversità dei sistemi naturali, la loro ecologia e
biologia, le loro funzioni e per assicurare l'uso sostenibile
delle risorse rinnovabili, garantendo una capacità di carico
ambientale in equilibrio con le possibilità e i limiti della
Natura.
In quest'ottica, sono previste, accanto agli interventi di
tutela, iniziative volte a promuovere la crescita economica
delle popolazioni residenti, con incentivi e sostegno ad
attività compatibili con l'ambiente. Nella stessa direzione
vanno la realizzazione del Marchio per il Parco, l'agricoltura
biologica, almeno un intervento in ogni comune per realizzare
case parco, centri visita, eco-ostelli, totem informativi.
Soprattutto ai giovani sono indirizzate sollecitazioni e
proposte perchè individuino nell'area del Parco le possibilità
per investire in piccola e media impresa, per attivare società
di servizi, per cimentarsi nelle tante nuove professioni che
possono nascere con la presenza del Parco Nazionale.
Affascinante e in buona parte ancora incontaminato, il
massiccio del Pollino separa, con i suoi bastioni di roccia
coperti di boschi, la Basilicata dalla Calabria. E' un'oasi di
tranquillità dove, al contrario dei più frequenti gruppi
montuosi dell'Italia centrale, si può ancora scoprire una
montagna con i suoi segreti in profonda solitudine. E dove
l'Appennino mostra di non aver nulla da invidiare alle Alpi in
fatto di paesaggi, culture montane, valori ambientali.
Formando un confine naturale, per secoli varcato solo dai
pastori, i monti del parco offrono una natura spettacolare con
piante e animali ormai scomparsi in buona parte della
penisola.
Serra del Prete, Monte Pollino, Serra Dolcedorme sono i nomi
carichi di suggestione delle cime più alte disposte in
direzione nord-ovest/sud-est.
Rigogliose foreste di leccio, querceti misti a carpini, aceri,
abeti bianchi, e poi soprattutto immense faggete si incontrano
via via che si sale. Più alto di tutti, sui picchi di roccia,
si staglia il profilo elegante del gioiello più importante del
Pollino, il "pino loricato", una conifera in via di estinzione
che sopravvive solo in qualche angolo del nostro Meridione e
sui Balcani.
Dai profili morbidi e verdeggianti sul versante lucano, aspro
e scosceso su quello calabro, il massiccio trova infine il suo
limite orientale nella profonda gola del torrente Raganello,
l'ennesimo ostacolo che la natura ha frapposto all'accesso al
Pollino, certamente tra i parchi nazionali più selvaggi
d'Italia.
Sul fronte meridionale, invece, oltre la piana di
Castrovillari, percorsa dall'autostrada, si elevano appartati
e sconosciuti - anche a molti naturalisti - i monti dell'Orsomarso.
Secondo alcuni studiosi il nome Pollino deriverebbe da "mons
apollineus", cio' di Apollo, dio della salute, per la gran
quantità di piante medicinali che crescono su queste montagne.
Secondo altri, l'origine starebbe invece nel latino "pullus",
giovane animale, ad indicare la tradizione di portare il
bestiame sui pascoli in quota ad ogni fine primavera.
Come tutte quelle di natura calcarea, le rocce del parco
vengono lentamente corrose dall'acqua piovana. Le fessure
delle pietre, nel corso di centinaia di migliaia di anni
vengono attaccate, erose, allargate fino a formare spaccature
e canyon sotterranei. Grotte, pozzi, inghiottitoi si creano
nel sottosuolo dove trascorrono un'esistenza tutta particolare
felci, pipistrelli, insetti.
Nel parco gli speleologi possono misurarsi con le cavità
dell'abisso del "Bifurto" o con le grotte di Serra del Gufo.
Un'escursione per tutti invece è quella tra i tanti pianori
carsici punteggiati di doline, opera anch'essi del carsismo.
Particolarmente belli i piani di Pollino, il Piano Ruggio e il
Piano Iannace. La frequentazione umana di questa montagna ha
origini antichissime ed è motivo di nascita di tradizioni
tenaci. Alla festa della Madonna del Pollino, la più
importante del massiccio, partecipano ogni anno qualcosa come
ventimila fedeli. In nove comuni del parco vive ancora la
cultura albanese, attraverso musei, ma soprattutto feste,
abiti, parlate che sfidano, oggi come ieri, l'omologazione.
E prima ancora testimoniano di remote presenze umane i
graffiti rupestri della grotta del Romito, a Papasidero.
La flora è ricchissima, facendo del parco un gigantesco
giardino botanico. Comprende tra le specie più belle la
peonia, il giglio di S. Giovanni, la pulsatilla, la sassifraga
meridionale. Oltre al magnifico pino loricato, estesissime
faggete rivestono pressochè interamente la fascia tra i 1.000
ed i 1.700 metri di quota: splendide quelle del bosco Magnano,
sul versante lucano, oppure della Fagosa o del bosco Iannace.
Ai piani del Pollino, salendo verso le cime segnate
dall'inconfondibile silhouette dei "pini loricati", si
incontrano i tronchi singolarmente contorti dei cosiddetti
"faggi serpente", una stranezza sulla cui origine ancora gli
studiosi non hanno raggiunto una posizione comune.
Fino al secolo scorso quella del lupo era una presenza
abituale su tutte le montagne dell'Appennino centrale e
meridionale, Pollino compreso. Oggi, dopo decenni di
persecuzioni e stragi, il predatore frequenta i boschi più
appartati del parco pur se in numero enormemente ridotto: e
certo non l'aiuta l'assenza delle sue prede d'elezione, cio'
gli ungulati, a parte il cinghiale.
Il Parco ha di recente avviato una campagna di studi per
conoscere con esattezza l'attuale situazione in cui si trova
una delle specie certamente più rappresentative della fauna
appenninica.
Oltre al lupo, la fauna del parco conta altre specie
interessanti come lepri, scoiattoli, ghiri, istrici, nonchè la
rara lontra. Sui monti di Orsomarso è poi presente uno dei
pochi nuclei rimasti di caprioli autenticamente italici, cio'
non inquinati geneticamente da individui provenienti da
popolazioni centro europee e introdotti nel nostro Paese.
Frequentano le radure e i margini delle foreste, pronti a
rientrare nella macchia al primo rumore o segnale sospetto.
Inoltre, su questi monti vive pure un piccolo roditore, il
"driomio" simile al più diffuso quercino e come questo dotato
di una lunga coda. Rane e rospi non sono frequenti, per via
della scarsità d'acqua che viene assorbita dalla roccia
calcarea: si segnalano tra gli altri il tritone alpestre e la
salamandrina dagli occhiali. Più diffusi i rettili, con la
vipera dell'Hugy, il colubro leopardiano, qualche testuggine
di Hermann e nei fossi la natrice comune. Tra gli uccelli
troviamo soprattutto le grosse coturnici, presenti con una
popolazione selvatica ancora cospicua. I boschi più vecchi di
mezza costa ospitano il raro picchio nero, il più grande tra i
picchi italiani. Aquile, gufi e nibbi reali, falchi pellegrini
e bianconi, il raro capo vaccaio, poi, sono tra i non molto
rapaci sopravvissuti a un'ingiusta quanto tenace persecuzione.
L'assetto urbanistico dei centri storici del parco fu
determinato a partire dal basso Medio evo e quasi tutti gli
abitati presentano caratteristiche speculari: abbarbicati su
una collina a scopo difensivo, presentano alla sommità il
rudere di un castello o di una torre difensiva. Ecco per
esempio il Castello Normanno di Morano Calabro e quello Svevo
di Viggianello. Da vedere il castello medioevale di Valsinni,
oggi parco letterario dedicato alla poetessa Isabella Morra,
vissuta nel XVI secolo.
Suggestivi sono anche i vecchi villaggi abbandonati di
Tripidone e Salvato, nel comune di Buonvicino, e Laino
Castello, totalmente disabitato dal 1982.
Numerosi sono anche i Santuari ed i Monasteri abbandonati come
quello del Colloreto (XVI secolo) nel comune di Morano
Calabro, l'Abazia di S. Maria del Sagittario (XII secolo) e il
Convento di Ventrale, nel comune di Chiaromonte, il Monastero
di Sant'Elia (XI scolo) nel comune di Carbone e il Seminario
della Madonna della Consolazione a Rotonda.
Di particolare interesse sono le popolazioni di origine
albanese che, in seguito alla conquista turca del loro Paese,
si stabilirono nell'area. Questa comunità dal XV secolo ad
oggi, nonostante abbiano subito tentativi di italianizzazione,
hanno preservato il proprio idioma e i propri culti. La loro
lingua, anche fortemente influenzata dai dialetti calabresi e
lucani, conserva ancora le caratteristiche originarie. I riti
religiosi sono officiati secondo i dettami della liturgia
bizantino-greca. Da non perdere sono le splendide iconostasi
dorate con le icone dei principali santi venerati.
I comuni albanesi sono: Acquaformosa (Formosa); San Basile (Shen
Vasili); Lungro (Ungra); Frascineto (Frasnita); Civita (Cifti);
San Paolo Albanese (Shen Pali); San Costantino Albanese (Shen
Kostandini); Plataci (Platani). |